L’unificazione dello standard di razza del bracco italiano, avvenuta nel 1923, rappresenta un momento chiave della storia del nostro continentale da ferma. Vediamo perché
Prima di parlare dell’unificazione dello standard di razza del bracco italiano è doveroso fare un corposo approfondimento su quella che era la situazione del bracco italiano nei primi anni del ‘900, in modo da meglio inquadrare da un punto di vista storico le motivazioni che hanno portato all’unificazione nel 1923.
La situazione delle prove di lavoro a fine ‘800, primi anni del ‘900
La cinofilia ufficiale mostra ben presto la propria vocazione alle prove di lavoro che assumeranno un peso determinante per tutto il Novecento sull’evoluzione del cane da ferma: è il passaggio, di natura qualitativa, dal cane da caccia al cane da sport. Nella misura in cui gli appassionati di una razza hanno saputo cogliere il significato di tale cambiamento, e hanno voluto usare per la riproduzione i soggetti provenienti dai campi di gara, quella razza ha migliorato le proprie prestazioni.
L’approccio dei principali allevatori dell’epoca
Le prove di lavoro permettono alle nostre razze di gareggiare nelle classi A Bracchi e Spinoni iscritti e C Omnium o di caccia pratica aperta ai «cani di qualunque razza pura od incrociati razionali» (?!). I principali allevatori dell’epoca (Alliora, Luigi Beretta, Bianchetti,Boschis, Calvi, Lazzati, Pedrazzini, Francesco Silva) partecipano con entusiasmo alle prove, sia per mettere in evidenza le doti cinegetiche dei propri ceppi sia per reclamizzare e vendere alcuni soggetti adulti e, affidandosi ai primi ammaestratori di professione (Trebbi, Martini, Donesana, Sironi, Viglietti, Beretta, ecc), ottengono buoni successi.
Un metro di valutazione sempre più all’inglese…
Nei primi anni di fields, dal 1892 al 1898, il numero dei continentali italiani classificati è lievemente superiore a quello delle razze inglesi: 59 soggetti (52 bracchi e 7 spinoni) contro 57 (30 pointer e 27 setter delle tre razze). Tuttavia la situazione si deteriora rapidamente.
La causa principale è da ricercare nell’adozione generalizzata di un criterio di giudizio sempre più anglofilo, che non tiene assolutamente conto del passato remoto e recente delle razze italiane selezionate per un compito del tutto diverso da quello richiesto ai cani inglesi e non in grado quindi di fornire lo stesso tipo di prestazione.
La necessità di una giuria di specialisti di continentali da ferma italiani era sentita nelle fasi pionieristiche delle prove quanto lo è oggi!
Scrive Angelo Vecchio nel suo “Il cane in azione (Milano 1899)“:
Concludendo in merito all’azione dei nostri cani (bracco e spinone, n.d.a.), i futuri organizzatori dovrebbero avere una sola preoccupazione; nominare per questa classe una Giuria veramente braccofila (che)… dovrebbe encomiare il bracco dall’incedere maestoso, a testa alta, ben incrociando il terreno con un trotto rapido, serrato pur alternato da qualche momento di galoppo, di quel simpatico galoppo che constatiamo ogni giorno cacciando coi nostri cani indigeni nelle praterie e nelle brughiere lombarde. E la maggioranza dei cinofili che divide la nostra opinione non intende per certo, come vorrebbero e asseriscono alcuni, che la cerca rapida a un trotto serrato del nostro bracco equivalga a “chercher dans les culottes“. Tutt’altro
Ma le giurie braccofile tardano a venire e il metro di valutazione diviene sempre più all’inglese: ciò ingenera nei sostenitori delle nostre razze sentimenti di confusione, insicurezza, sfiducia.
L’effetto è negativo: gradualmente si disertano i campi di gara e si preferisce percorrere la strada della polemica che, per quanto possa avere un fondamento di verità, risulta sterile se non è accompagnata dai fatti.
La lucidità di pensiero di Ferdinando Delor
Ferdinando Delor sintetizza con lucidità e amarezza la situazione:
Bisogna riconoscere i nostri braccofili sono dei grandi “Bagoloni” e nulla più: essi vanno ripetendo a sazietà, anche a chi non li vuol sentire, che il bracco e lo spinone sono i primi cani da caccia del mondo; ma quando si tratta di appoggiare coi fatti questa loro “blaga”, se ne stanno rannicchiati nel loro guscio e non si fanno vedere. Lamentano d’altra parte la continua invasione e prevalenza dei cani inglesi e la preferenza che per essi dimostrano i nostri cacciatori; ma gli anglofili non temono la luce della prova, e, invece di perdersi in vane chiacchiere, fanno vedere a tutti i pregi e i difetti dei loro cani. Fatti e non ciarle ci vogliono, amici miei, e se continuate di questo passo, è meglio che smettiate di allevare bracchi e spinoni» (in «Rivista cinegetica», n. 39, Milano 1909).
Già in precedenza lo stesso autore aveva dovuto constatare che:
Gli allevatori di bracchi italiani e di spinoni sembrano invasi dallo sconforto per il continuo sopravvento che vanno prendendo ovunque le razze inglesi e, invece che reagire, rinunciano alla lotta e voltano le spalle al nemico. Fatto sta che, alle esposizioni, il numero dei bracchi e degli spinoni concorrenti va sempre diminuendo, mentre quello dei pointer e dei setter è in continuo aumento. Alle prove, poi, le classi per continentali presentano sempre un aspetto miserando.
Le cause di tale astensione, oltre allo sconforto che si è impadronito dei nostri allevatori, sono complesse: la prima va ricercata nel fatto che il bracco è esclusivamente un cane di servizio; non cane di sport. Chi lo detiene è cacciatore, prima che sportman; lo adopera giornalmente nelle escursioni ed, è doloroso doverlo constatare, il cacciatore appassionato, il cacciatore della vecchia scuola, quello che generalmente adopera ancora il bracco e lo spinone, è un essere assolutamente refrattario ad ogni novità, ad ogni progresso» (in «Rivista cinegetica», n. 44, Milano 1905).
Le considerazioni di Delor sono validissime. Fino a quando le razze da ferma italiane non divennero anche razze da sport, il loro livello qualitativo non fece registrare incrementi significativi rispetto a quelli della seconda metà dell’Ottocento!
Come si è già messo in evidenza, una delle cause della scarsa partecipazione dei continentali italiani alle prove è certamente costituita dalla selezione imposta da giurie più o meno anglofi le che premiano i soggetti dall’azione più pointerizzante e penalizzano la maggior parte degli allevatori che preferiscono presentare bracchi e spinoni dal lavoro classico, di tipo continentale.
Cosa dice Angelo Vecchio
Scrive il Vecchio (op. cit., 1899):
Al bracco italiano leggero è oggi aperto il miglior successo alle prove: i pochi soggetti riconosciuti per grandi bracchi, molte volte non accoppiati a dovere, producono una quantità di tipi da rappresentare qualche cosa tra il bracco leggiero e un mezzo Saint-Germain, e siccome nell’insieme manifestano tutte le parvenze del bracco leggero così passarono come tali. Presentati alle prove hanno poi due vantaggi, la relativa leggerezza di forme e un olfatto di primo ordine… Sono i tipi che meglio presentano la probabilità di un successo, appunto per l’azione loro rapidissima confrontata con quella dei nostri bracconi destinati a presentarsi con loro in lizza, rendendo palese, se si vuole l’assurdo che, il braccone maestro ai beccaccini ha ceduto il posto all’allievo civettuolo e vivace qual è il bracco moderno. Ed è inutile nasconderlo, qual più qual meno nei bracchi fieldtrialers d’oggi, havvi un po’ di seme del pointer; l’elasticità delle movenze, le ferme di scatto e l’assenza della filata, tradiscono il sangue inglese che scorre nelle loro vene. Richiesto ad un noto dressur l’impressione che gli avesse fatto un bracco italiano, e come tale ammesso nel LIR del Kennel Club, vincitore di parecchi premi ai fields, mi rispose: Come pointer ce ne sono di migliori, come bracco non ha rivali!
Un modello di lavoro non adeguato alla razza
Un modello di lavoro non adeguato alla razza si accompagna a caratteristiche somatiche altrettanto atipiche ed eterogenee; tuttavia al bracco leggero ormai sinonimo di bracco pointer – non si può negare una grande validità sul terreno, e non solo delle prove. Piuttosto che utilizzare questo importante patrimonio di doti venatorie, o creando una nuova razza o potenziando il bracco stesso accoppiando i soggetti meno lontani dal tipo con grandi bracchi asciutti e ben costruiti, si preferisce… disperderlo! Così si esprime in merito Alessandro Talucchi:
Troppo bisognerebbe lavorare per fare scomparire l’impronta di quell’incrocio ed allora sarebbe molto bene cercare di riunire i migliori soggetti che tutt’ora abbiamo a disposizione, puramente e presumibilmente bracchi e da questi soli trarre con sapiente criterio di scelta nei riproduttori, quel tipo che noi braccofili vagheggiamo» (in «Rassegna cinofila»>, n. 41, Milano 1922)
Infatti quello che si volle chiamare in seguito come unificazione dello standard di razza del bracco italiano prende a modello i soggetti più asciutti, dinamici e meglio costruiti del grande bracco e “scarica” – senza tanti complimenti e con notevoli danni economici per molti allevatori il bracco leggero che, per le sue caratteristiche somatiche e comportamentali a metà fra quelle del bracco e quelle del pointer, non trova più posto nella cinofilia ufficiale.
In pratica veniva sancita l’incapacità evidenziata nel corso di oltre quarant’anni da parte degli allevatori italiani di migliorare il bracco ricorrendo all’immissione del pointer senza fare in modo che la razza inglese si palesasse con troppa evidenza.
1923 – L’unificazione dello standard di razza del bracco italiano le prime descrizioni delle caratteristiche di lavoro
L’assemblea ordinaria dei soci del Kennel Club Italiano che ebbe luogo il 17 febbraio 1923 a Milano, prese la seguente deliberazione:
Ha approvato la soppressione della divisione in classi di pesanti e di leggeri dei pointers in esposizioni. Ha nominato una Commissione per lo studio della proposta di soppressione di simile suddivisione dei bracchi in classi di grande e di piccola taglia.
A membri della Commissione furono eletti i sig: arch. Ulisse Bosisio, giudice e allevatore di bracchi italiani, presidente, in quel tempo, del K.C.I.; comm. Francesco Silva, titolare del canile di Regona in Pizzighettone, pure lui giudice; dott. Giuseppe Solaro, riconosciuto come uno dei più grandi cinognostici del mondo; Dordoni, spinonista Cremonese ed il giudice Mina. Della commissione fa parte e la cosa mi lascia perplesso in quanto fu il primo a essere danneggiato dalla riformulazione dello standard – anche Luigi Cerrone, ben noto per i suoi Sesiae, fortemente pointerizzanti!
Il Bollettino di dicembre 1923 del Kennel Club Italiano pubblica il nuovo standard unico per i bracchi italiani. Lo standard stesso viene a raggruppare nella stessa famiglia i bracchi pesanti con quelli leggeri che, fin qui, erano considerati separatamente nelle nostre esposizioni – scrive Demetrio Biondo in Nembrod 1924 pag. 132. Lo standard unico deve essere accettato quale benvenuto, perché viene a togliere una pretesa differenza di tipo ed una opposta tendenza nell’allevamento che avrebbe minacciato, a lungo andare, per compromettere irreparabilmente la nostra bella ed antichissima razza da ferma.
Alle nostre esposizioni abbiamo potuto osservare, senza bisogno di lenti, che i vecchi bracchi (grandi bracchi) riproducevano ancora assai bene i caratteri di un tempo, sebbene quelli di Tell di Sandrigo, Lampo di Leonilda, Ninfa di Merano, Po di Boccaserio, Faust di Regona, ecc. apparissero, purtroppo, evidentemente lontani. Per contro, i cosidetti bracchi leggeri (secondo degenerazione del grande bracco), si avviavano rapidamente verso quelle forme pointerizzate che li distanziavano sempre più dal tipo fondamentale del quale portavano soltanto il nome-
Lo standard riporta la razza ad un tipo solo: il bracco è uno ed uno doveva essere in avvenire come lo fu per il passato.
La lezione di Temistocle Strazza in merito all’unificazione dello standard di razza del bracco italiano
L’atto di unificazione dello standard di razza del bracco italiano si riferisce a un grande bracco che ha ricevuto immissioni di pointer sporadiche e soprattutto lontane nel tempo e selezionato in base alla lezione di Temistocle Strazza:
A che pro le enormi orecchie, le penzolanti labbra l’immane giogaia e le occhiaie arrovesciate (…). A che pro il piede largo, la colossale statura (…) oggigiorno i bracchi che emergono in tutte queste prove venatorie sono animali, grandi sì, ma non linfatici né pesanti, e cioè sono bracchi altrettanto sobrii di forme quanto ricchi di energia, di sangue e di intelligenza.
La nascita della sezione Razze Italiane da Ferma
Il momento di fervore se non di favore verso il bracco si riflette anche sullo spinone e fa sì che il 1923 non sia ricordato solo come l’anno dell’unificazione dello standard di razza del bracco italiano, ma anche per la nascita della Sezione Razze Italiane da Ferma alla quale va l’indubbio merito di aver abbozzato un primo standard di lavoro per le nostre razze, che in precedenza consisteva in un breve corollario conseguente alle de scrizioni somatiche.
Merita rilevare che la stesura di tali caratteristiche di lavoro rappresenta, forse, l’ultimo tentativo di arginare l’importazione dall’estero delle varie razze da ferma. Essa ammette il galoppo per il bracco e per lo spinone, senza specificare in quale misura debba alternarsi col trotto: «Trotto allungato alternato con tempi di galoppo. Tollerato il galoppo nei primi tempi e nei cani giovani».
Un adultismo anacronistico
Qualcuno fa giustamente osservare che gli attuali standard di lavoro dei continentali italiani non considerano adeguatamente l’andatura dei “cani giovani”: un adultismo anacronistico per una società come la nostra larga mente improntata al concetto di gioventù!
Anche il Talè nel suo libro: “Il cane da caccia, Milano 1926″, attribuisce al bracco «un’andatura del trotto e del galoppo in tre tempi», che «gli consente una cerca sufficientemente rapida.
Anni Trenta: Perla di Maniago in guidata. I difetti di tipicità della testa sono largamente compensati dalle strutture potenti e corrette del tronco e degli arti