Si è detto molte volte in tema di bracchi italiani che bisogna ritornare all’antico, ma occorre stabilire che cos’era il bracco antico, sia nell’aspetto esteriore e sia nelle qualità di lavoro, andatura
Alcuni dicono che nel bracco italiano si sono andati, man mano, standardizzando difetti e tare che originariamente non esistevano. In fondo non hanno torto, ma cosa ne sarà del futuro del bracco italiano?
Cosa dice Arkwright
Arkwright, inglese e quindi non certo sospettabile di campanilismo, fa risalire le origini del pointer al bracco italiano. Nel Pointer dell’Arkwright si legge infatti che nel 15° secolo i cani da ferma italiani erano stimati non soltanto nel loro paese ma anche all’estero e che nel 1481 i francesi importarono dei bracchi dall’Italia (Francesco I, ritornando dalla prigionia portò con sé dalla Lombardia ottanta cani da caccia) e che presso a poco in quella medesima epoca la Spagna stessa non sdegnava di importare cani dall’Italia. (A tale proposito leggi la storia antica del bracco italiano).
Data la differenza attualmente esistente tra il bracco ed il pointer viene fatto di domandarsi come si potè ricavare uno dall’altro e come doveva essere il bracco d’allora.
Sempre nell’Arkwright: “In seguito il tipo più pesante dei bracchi francesi e dei bracchi navarresi esisteva ancora, ma era stato del tutto eclissato dai superbi cani italiani costruiti per la corsa rapida di cui Luigi XIV e Luigi XV riempirono i loro canili“. Inoltre, parlando dei pointers del duca di Kingston: “Tutti questi pointers hanno nettamente l’elegante tipo franco italiano”.
Ed infine, Rone riporta brani de: “Los dialogos de la monteria » manoscritto anonimo del sedicesimo secolo, (anche in Spagna i cani erano stati importati dell’Italia,) si legge: “Il cane deve essere molto veloce in modo da battere molto terreno senza grande fatica per il cacciatore e da trovare la selvaggina che non troverebbe se fosse lento senza contare che in quest’ultimo caso vi è doppia fatica per il cacciatore che è obbligato ad accompagnare il cane nei suoi lacets a destra ed a sinistra ».
Ed allora che cosa è avvenuto? Cosa è stato dei bracchi veloci di allora? Che metamorfosi hanno subito? Cosa ne sarà del futuro del bracco italiano?
La cosa è semplicissima. Abbiamo fatto come con lo champagne che lo mandiamo in Francia greggio a prezzo basso e torniamo poi ad importarlo in bottiglie ad etichette vistose pagandolo profumatamente.
Abbiamo lasciato degenerare i veloci bracchi d’allora per importare poi pointers e setters.
In Inghilterra i nostri bracchi si sono trasformati in pointers
In Inghilterra i nostri bracchi, accuratamente selezionati, sottoposti ad un regime di vita igienico basato sull’alimentazione razionale moto ed allenamento regolato su terreni sani si sono trasformati negli attuali pointers.
La degenerazione del bracco italiano
Quelli rimasti in Italia (il cui allevamento era affidato per la massima parte, a cacciatori campagnoli) alimentati con cascami di latte, riso e farina di granoturco, chiamati a prestare il loro servizio in terreni umidi, molli sono andati man mano appesantendosi, diventando essi pure molli e linfatici fino a degenerare completamente dai loro progenitori. Questo avveniva sopratutto nella bassa Lombardia, culla del bracco italiano pesante.
Il bracco piacentino
Vi sarebbe stato il bracco piacentino dalla regione in cui viveva. Questo, favorito dal terreno sano dell’aspro appennino che gli offriva un esercizio muscolare eccellente si è mantenuto leggero, se non come il pointer moderno, prodotto più che altro dall’accoppiamento col fox hund, certo come i pointers della prima maniera tanto decantati dall’Arkwright.
Ho citato soltanto due regioni, la Lombardia o meglio la valle del Po ed il piacentino perché in altre regioni dell’Italia centrale e meridionali della Sicilia e della Sardegna, che pur offrivano un terreno favorevolissimo allo sviluppo di un cane leggero, muscoloso, non era sviluppata la passione del cane di razza pura e la caccia vi veniva esercitata con cani di qualsiasi specie.
Il bracco nella bassa Lombardia
Nella bassa Lombardia il cane era chiamato a cacciare in terreni ristretti, paludosi ricchi di selvaggina e non era spinto naturalmente ad una grande azione sia perché non era necessaria e sia perché gli mancava la fibra per farlo. Il suo proprietario non gli richiedeva (nella maggior parte dei casi) che qualche cacciata intorno al podere, in terreni in cui il cane sapeva dove si trovava la selvaggina e quindi diventava più prudente.
Se questo non bastasse il conduttore continuava a richiamarlo ed a raccomandargli prudenza, saggezza. Tutto ciò finì per togliergli quell’azione che conservarono invece i suoi confratelli passati oltre Manica chiamati a cacciare sugli sterminati moors della Scozia ove si richiede una grande azione perché la selvaggina, pur essendovi abbondante, è però distribuita in grandi estensioni di terreno.
Serve ampiezza d’azione per il futuro del bracco
Ebbene, se una cerca limitata, prudente andava bene cinquant’anni fa, oggi invece il bracco italiano, così ridotto, data la diminuzione della selvaggina e la conseguente necessità di maggior, se non velocità, almeno ampiezza d’azione, non risponde più alle attuali esigenze e non è più in grado di tener testa, non solo ai pointers e setters, i quali, ad onor del vero sono stati spinti in modo eccessivo, i primi con l’accoppiamento con il fox hund ed i secondi coll’accoppiamento con il pointer e forniscono oggi un lavoro assolutamente diverso, ma anche ai continentali esteri (bracchi tedeschi, griffoni, epagneuls) che tendono a sostituire il bracco anche presso quei cacciatori che, pur non amando le eccessive azioni degli inglesi, non si possono tuttavia accontentare ancora della cerca troppo lenta e ristretta del bracco attuale
Come porre riparo all’invasione d’oltralpe e d’oltremare
Ritornare all’antico, ma non ai bracchi di cinquanta o cento anni fa bensì alle origini, ai veloci bracchi del seicento.
Come arrivarvi? Cominciamo dall’alto. Dalle direttive.
La divisione dei continentali esteri dagli italiani, mentre sembra sia stata fatta in favore di questi ultimi ha dato loro invece un colpo mortale perché, tolta l’emulazione, la gara, i bracchi e gli spinoni si vanno fossilizzando ed immiserendo nella cerca lenta e ristretta voluta, non dai regolamenti, ma da una loro cattiva interpretazione.
Ricercare i cani d’azione per il futuro del bracco italiano
Cani d’azione non sono mancati e non mancano tutt’ora, bisogna ricercarli e selezionarli anziché prescriverli dalle gare come si è fatto per il passato. Specialmente in lotta con un continentale estero il bracco deve camminare, se occorre anche di galoppo. Non mi si dica che, allora, si trasforma in un pointer.
C’è galoppo e galoppo e lo stile non cambia con il cambiare dell’andatura. Cito l’esempio del setter e del pointer. Galoppano entrambi eppure che differenza di stile c’è, od almeno ci dovrebbe essere, tanto nell’andatura quanto nella ferma. Il bracco può galoppare di un bel galoppo lungo e pacato (il galoppo di caccia del cavallo) e non quello rabbioso, elettrico vibrante del pointer.
Purtroppo oggi si confonde perché si vedono presi in considerazione pointers che hanno un galoppo scialbo insignificante.
Galoppo tranquillo che al minimo sospetto si trasforma in trotto
Galoppo tranquillo che al minimo sospetto si trasforma in trotto, in passo, in filata, eccoci perfettamente nello stile del bracco pur avendo un cane che si muove e che serve su tutti i terreni. Trovati questi tipi di cani occorre selezionarli ed allevarli nutrendoli razionalmente. Va da sé che alle qualità di lavoro devono corrispondere necessariamente, anche le forme fisiche. Ben si è detto che nel bracco si sono andati man mano standardizzando i difetti. Costruzione troppo massiccia, giogaia, labbra ed orecchie, eccessivamente sviluppate e pesanti, occhi aperti, aspetto generale molle, linfatico.
Pur rimanendo perfettamente nello standard il bracco può essere alleggerito.
Eccone la descrizione sommaria
- Costruzione generale simile a quella di un Saint Germain o di un bracco tedesco ma nell’insieme meno duro, più slegata, più armonico, di quest’ultimo, gambe muscolose munite di sproni, tesla dolicocefala, a pera, non larga e pesante ma leggera schiacciata ai parietali e con protuberanza occipitale molto pronunciata.
- Orecchie non spesse e pesanti come costolette e lunghe come quelle di un coker, ma fini, sottili, flessibili, di media lunghezza, attaccate all’altezza dell’occhio, ben accartocciate e cadenti. A dare alla fisonomia l’impronta del bracco non giova tanto la lunghezza dell’orecchio quanto l’attaccatura bassa e ben fatta.
- Muso lungo e leggermente, quasi insensibilmente, montonino rivolto verso il basso – perfettamente al contrario di quello del pointer- quadrato con labbra pure sottili e cadenti.
- Salto nasale non brusco come nel pointer, ma graduale e dolcemente raccordato. Occhi a mandorla, grandi ma non aperti come quelli dei bracchi attuali con espressione dolce, carezzevole. Giogaia appena accennata e non cadente come quella di un vitello.
State pure certi che con una testa tipica un cane avrà l’aspetto di bracco anche con un corpo leggero più di tanti mastodonti che non ne sono che la caricatura.
Ho letto oggi, per la prima volta, “Il futuro del bracco secondo Giacomo Griziotti”.
Avrei potuto scriverlo io stesso. La base culturale, chiaramente intesa in senso qualitativo soltanto, è esattamente la stessa. Le conclusioni, pure le stesse.
– Il vero Bracco Italiano fu quello dei suoi secoli d’oro. Non quello degenerato del 1800.
– Preferenza e primato gli furono accordati per le sue eccelse qualità venatorie, tra le quali PRIMEGGIAVA LA VELOCITÀ.
– Il trotto come deambulazione obbligatoria sul terreno di caccia non fu altro che la cristallizzazione di un “far di necessità virtù” ereditato dalla degenerazione ottocentesca.
– Il bracco dovrebbe poter cacciare anche galoppando. Quanti validi Bracchi non saranno riusciti a guadagnare visibilità perché tetragoni alla regola del trotto forzato? Ci si ricordi che colui che viene giustamente considerato padre della rinascita del Bracco Italiano, Ch. Lir 2° dei Ronchi, NACQUE COME GALOPPATORE IRRIDUCIBILE. Forse il compianto Rino Vigo dovette adattare un attrezzo per addestramento equino per la prima volta proprio per lui. Ricordo bene le male lingue dell’epoca: “… trotto martellante: è la braga che lavora …”
– Il peso ammesso per il Bracco è eccessivo. Un Bracco può essere bello anche se molto alleggerito rispetto all’attuale. Personalmente ritengo di aver visto il più bel Bracco in una sorella roana del mio Pedro. Quando in piena forma toccava i 22 kg. Mi intenderò poco di Bracchi, ma le cose belle le so riconoscere.
– Infine: i fronzoli, gli orpelli, di cui abbiamo voluto ornare il Bracco per tutto il secolo scorso, sono del tutto inutili. Un applauso spelladita a Giacomo Griziotti per quanto dice, in questo ambito, delle orecchie del Bracco. Consistenza sottile, accartocciamento e attaccatura bassa.
Ho conosciuto Giacomo Griziotti sul terreno di gara e anche a casa sua, avendolo visitato con Adriana nella sua casa di Pavia, una sera invernale di più di mezzo secolo fa: per me, e soprattutto per il Bracco, lui avrebbe potuto essere il REDENTORE.