Edmondo Amaldi, insieme a Paolo Ciceri, è stato uno dei padri del bracco italiano. Allevatore di grande visione, fu un vero “artista” con l’affisso Delle Forre
Secondo Edmondo Amaldi per gustare la bellezza estetica di una razza bisogna anzitutto conoscerla, e, conoscendola, ciò che per il profano può apparire brutto per il cinotecnico è bello. Per esempio, la regione fronto-nasale e l’occhio del pointer non credo possano riuscire piacevoli per un profano, mentre marcato «stop» e l’occhio dallo sguardo concitato di questo cane sono due caratteristiche che il conoscitore della razza apprezza.
Lo Stile di razza secondo Edmondo Amaldi
Per quel che riguarda il lavoro vi è inoltre «lo stile», vale a dire una particolare condotta di movimenti inconfondibili legati a ciascuna razza e che rappresentano le caratteristiche dinamico-razziali. Fra i cani da ferma abbiamo i galoppatori, per esempio, che hanno la caratteristica comune di cercare al galoppo, ma ognuna di queste razze ha poi un sistema tutto particolare di galoppo che rappresenta il proprio stile di razza.
Il conoscitore dello stile razziale cacciando con un cane puro e stilista, rispetto al cacciatore che ne sia profano, ha il vantaggio di impiegarlo più volentieri perché, oltre tutto, gode e si bea del lavoro del cane per questa caratteristica standardizzata che esso possiede e che lui sa bene intendere anche nelle sfumature più lievi.
C’è trotto… e trotto secondo Edmondo Amaldi
Il bracco italiano è un trottatore e la sua andatura è perciò il trotto. C’è diversità fra trotto e trotto: il trotto stilato e quello spinto, testa alta, arti anteriori lanciati in avanti, arti posteriori in continua propulsione, tartufo in cerca di effluvi, le lunghe orecchie svolazzanti, la linea dorso-lombare irrigidita, il garrese rilevato rispetto alla groppa, l’occhio in attenzione, i muscoli che giocano fra loro, la coda in eloquente movimento, il tutto in una luce metallica chiarescente che promana dal suo mantello solitamente chiaro.
Il bracco solo così lo si può gustare appieno, quando possiede tutto il suo stile, ed in questo io, Edmondo Amaldi, vedo la poesia, sento la musica, apprezzo la natura e veramente nobile mi appare allora l’animale.
Trotto spinto
Tic-tac, tic-tac, tic tac, tic-tac, suona il trotto spinto del bracco italiano quando è in piena avidità di cerca a beccaccini; e questo ritmo che le sue zampe imprimono sul terreno paludoso è davvero inebriante. Il trotto del bracco è un’andatura sui generis: un pointer che trotta non presenta alcuna bellezza; anzi è goffo, mentre il bracco, creato, costruito per il trotto fisicamente e psichicamente, offre uno spettacolo di pura armonia, qualcosa di perfetto.
Se a questo nostro cane noi togliessimo il trotto, equivarrebbe a sopprimerlo nella sua essenza inquantoché si confonderebbe con tutte le al tre razze, specie con le ultime arrivate d’oltralpe.
Il Bracco italiano e lo spinone secondo Edmondo Amaldi? Non fratelli ma cugini
Bracco e trotto sono un binomio inscindibile e quando la mia mente pensa ad un bracco lo vede muoversi in questa sua classica andatura. Ogni anno io, Edmondo Amaldi, seguo gare e vedo dei belli spinoni stilisti, ma l‘andatura di trotto dello spinone è lungi dal presentare quella bellezza che il nostro cane, maestro del trotto, ci offre; e ciò a causa della diversa conformazione delle due razze che sembrerebbero sorelle mentre invece le direi soltanto cugine.
Le diversità somatiche fra bracco e spinone, che logicamente si ripercuotono sulla dinamica, esistono perché diversa è stata la selezione che gli allevatori delle due razze hanno effettuato fino ad ora.
Saper giudicare lo stile di andatura
In montagna, nella caccia alpina, è pur cosa meravigliosa l’ammirare il lavoro di un bracco italiano che unisca alla buona razza la passione e l’intelligenza: la passione che lo fa andare su e giù per i costoni e l’intelligenza che gli fa risparmiare non poca strada.
Per poter giudicare lo stile d’andatura occorre il terreno pianeggiante, ed è qui che vediamo il «trotto radente» vale a dire il trotto classico. In questa andatura stereotipa gli arti, lanciati a bipedi diagonali, devono stare il più possibile vicino a terra, lambire, direi quasi, il terreno. Il passo deve essere molto lungo, amplissimo, ed un arto deve susseguirsi velocemente all’altro.
Il trotto di ginocchio secondo Edmondo Amaldi
Quando il cane alza molto gli arti anteriori non compie un trotto classico, ed in questo caso si potrebbe dire che «trotta di ginocchio». Tale dinamica locomotoria, non dico sia da scartare, ma certamente da non preferire, tanto più che è ereditaria.
Va posposto il cane che «trotta di ginocchio» a quello che «trotta radente» perché quest’ultimo compie il passo in minor tempo, e perciò fa più strada e con minor dispendio di energia, oltre che di tempo. Quelli che compiono il «passo corto» o hanno una cattiva spalla (spalla diritta) o il loro trotto non è spontaneo ma imposto dall’addestratore, e ciò denota mancanza di purezza.
Il bracco è un normolineo con tendenza al brevilineo
Il bracco deve trottare perché il suo telaio è costruito da trottatore e perché ha il sistema nervoso da trottatore, non già per esservi stato costretto da una costante scuola di maneggio ad opera di pazienti addestratori. A differenza dei cani galoppatori che sono dei longilinei, il bracco è un «normolineo con tendenza al brevilineo». I suoi raggi ossei sono corti e grossi, i suoi muscoli brevi e tozzi. Questa conformazione anatomica è sufficiente per spiegare la mancanza d’attitudine al galoppo da parte del nostro cane.
Coi raggi ossei brevi gli arti non possono essere lunghi e, rispetto alle altre razze ferma galoppatrici, i metacarpi ed i metatarsi del bracco devono essere a loro volta corti; il pointer prototipo dei cani da ferma galoppatori, arti molto lunghi rispetto al bracco, con i posteriori ad angoli più chiusi. Il tronco non deve essere molto corto (come taluno erroneamente potrebbe credere) ma leggermente lungo.
Le caratteristiche fisiche di un buon trottatore secondo Edmondo Amaldi
L’altezza al garrese è uguale alla lunghezza del tronco, ma se la lunghezza è di qualche centimetro superiore all’altezza, agli effetti per il trotto non è un danno, anzi un buon fattore che dà modo agli arti posteriori di lanciarsi con facilità in avanti.
Il torace ben sviluppato traversalmente (costole cerchiate) ma senza esagerazioni, permette facile gioco alla spalla; deve essere giustamente ampio, ben disceso e molto profondo. La linea dorso-lombare salda, pur mantenendo quella depressione caratteristica all’altezza dell’undicesima vertebra; rene corto, largo ed arcuato; il ventre non retratto; la groppa inclinata ed ampia e soprattutto la spalla ben obliqua e muscolosa; arti non lunghi anzi piuttosto corti con appiombi corretti. Queste sono le membra del trottatore, del vero trottatore.
Nel trotto il tartufo guarda in basso
Nel trotto, a causa della conformazione della testa, il tartufo guarda in basso sebbene la testa venga portata normalmente più in alto della linea dorso-lombare o linea superiore del tronco. Se il bracco galoppa deve portare la testa più bassa che non nel trotto, la deve portare cioè al di sotto della linea superiore del tronco perché deve spostare maggiormente il baricentro del corpo in avanti essendo il galoppo andatura più veloce e, come tale, da spostare il centro di gravità del corpo molto in avanti.
Ne consegue così che, portando il naso troppo vicino a terra ed andando ad una velocità relativamente forte, non può fare ferme lunghe con la conseguenza di rischiare l’investimento del selvatico, perché il tartufo vicino a terra ha stretto raggio d’azione per la captazione degli effluvi.
È questa una delle cause che inscrive il bracco nei trottatori. Il pointer, al contrario, che oltre al collo lungo ha le linee superiori della testa convergenti, si trova a pieno agio nella sua folle velocità perché per questa andatura la natura, o l’uomo, lo ha creato. E come il pointer rende al galoppo, il nostro bracco rende al trotto.
Genericità sul bracco italiano secondo Edmondo Amaldi
Non dimentichiamo il «sangue» che serve a dare al nostro ausiliare la velocità del passo, lo slancio, il ritmo. Il buon sangue si vede anche al guinzaglio, in posizione di piazzato: il bracco di sangue tiene la testa alta, molto alta.
I bracchi senza sangue, per fortuna pochi, hanno un’andatura «dinoccolata»: le loro articolazioni sembrano schiodate e allora gli arti anteriori invece di essere lanciati con forza nella direzione verticale del corpo, come avviene nel buon trotto, compiono movimenti laterali sconnessi, ed anche la linea dorso-lombare non è mantenuta rigida.
Il bracco può cacciare per giornate consecutive
Il bracco trottatore è resistentissimo perché il trotto è per lui un’andatura semplice che non gli richiede, data la sua conformazione, un grande dispendio di energie e, a differenza di moltissimi cani galoppatori che partono in caccia con una velocità da gara per poi terminare al passo perché troppo hanno dato all’inizio, il bracco può cacciare per giornate consecutive mantenendo sempre un trotto redditizio; mantenendosi cioè in «stile».
Inoltre mentre un cane galoppatore che lo si voglia portare in gara classica va adeguatamente allenato per dargli la velocità richiesta (ben diversa dalla ridotta, spesso ridottissima, velocità di caccia), nel nostro bracco invece non c’è bi sogno di particolari allenamenti perché in gara esso deve mantenere la medesima andatura della libera caccia e perciò il suo allenamento si può fare benissimo limitandosi a condurlo a caccia con una certa frequenza.
Occorre anche la volontà di trottare
Nel nostro cane occorre anche la volontà di trottare. Vi sono dei bracchi costruiti da trottatore ai quali sembrerebbe che nulla mancasse per sviluppare la loro normale andatura; purtuttavia il loro sistema nervoso li porta più al galoppo che non al trotto, e ciò denota sangue eterogeneo: sistema nervoso da galoppatore inserito nel tronco del trottatore. Questi soggetti non possono mantenere a lungo il galoppo, data la loro costituzione, cosicché scoppiano, come si suol dire. Galoppano fin che possono e poi finiscono al passo: mancano di «fondo».
Il bracco di buon sangue parte al galoppo
Per scoprire questi soggetti bisogna usarli a caccia e non sempre si possono mascherare in pochi minuti quanto dura, di solito, un turno di gara: il Giudice può scambiarli con soggetti di molto sangue. Il bracco di buon sangue in caccia parte normalmente al galoppo, specie se giovane.
Questo pesante galoppo «a travalco» del bracco italiano, non dico sia goffo ma nemmeno piacevole: fa l’effetto del pointer che trotta. In seguito si mette al trotto per mantenerlo. Ritornerà a galoppare quando è chiamato, a causa della sua natura ubbidiente, e su terreno dove non c’è probabilità di trovare selvaggina (per esempio nei prati falciati): in quest’ultimo caso, come nel primo (appena slegato), per esuberanza di sangue o, se più vi piace, per sgranchirsi gli arti e per far festa di libertà.
Il naso a terra
Secondo ma, Edmondo Amaldi, un’altra prerogativa del nostro cane è la facilità di mettere il «naso a terra» qualora ce ne sia necessità (non per abitudine), e questa necessità in caccia si presenta più di quanto non sembri.
Con le linee superiori della testa divergenti e col tartufo che rappresenta la parte più sporgente in avanti del corpo, perché le labbra sfuggono di sotto al naso, il bracco poco fatica a mettere il naso a terra.
In caccia il cane che sa metter e l’occorrenza il naso a terra può essere molto utile
Ricordo, a proposito, la prima bracca italiana che ebbi: ero alla prima licenza, un giovane Edmondo Amaldi infatuato di cinologia. Andavo a quaglie con un contadino che era un vecchio cacciatore. In un medicaio falciato quasi al completo, la cagna fermò in direzione di pochi metri quadrati dove l’erba alta doveva ancora essere tagliata.
Si trattava senz’altro di una quaglia. La bracca fermò, guidò, fermò ancora, rifermò ma l’astuta quaglia preferiva pedinare fra le colture di alte erbe anziché levarsi a volo. Allora Lea mise il naso fra l’erba e zig-zagando seguì passo passo, le peste del volatile.
A questa vista gridai la cagna e, data la insistenza a voler tenere il naso rasente terra, la picchiai perché i libri insegnavano che il buon cane da ferma deve sempre lavorare a testa alta. Lea, risentita, si rifiutò allora di continuare nella cerca malgrado le carezze e gli incitamenti, e Vittorio, il contadino, seccato per il mio comportamento, si mise ad imprecare contro di me, cacciatore inesperto, e contro quei maledetti libri che mi insegnavano queste stupidaggini.
Lea, colla passione che aveva, riprese a tartufare la quaglia che gironzola sempre in quel piccolo tratto di erba al finché la bocca ad un palmo dal naso. Vittorio battè il piede nella erba fece frullare la quaglia. Capii allora che in caccia il cane che sa metter e l’occorrenza il naso a terra può essere molto utile.
I bracchi che scovano le lepri
A questo proposito Tito Vischioni racconta che Camp. Dic V, che fu l’agonistico degli agonistici, sapeva, naso a terra, seguire la traccia della lepre con una sicurezza impressionante, e non pochi sono i bracchi che, specie nelle prime ore del mattino, cosi procedendo, vanno a scovare lepri sul covo più di quanto un buon segugio possa fare.
Microtelesfron
Di questi alcun c’è che segue l’orma de l’odorato augello...» (Erasmo di Valvasone). Giovanni Pastrone, trent’anni or sono, definì il bracco italiano cane da caccia “microtelesfron” con ciò volendo fare intendere, con greca denominazione, un cane capace di captare emanazioni olfattibili e a grandi distanze (come fanno i cani inglesi telesfron), come pure di percepire piccoli effluvi lasciati per lievissime tracce dalla selvaggina sul terreno (come i cani da seguito-microfon).
A breve distanza…
Lo spirito di collaborazione, il raziocinio, l’indole affettuosa del nostro cane, lo spingono a cacciare a breve distanza, sempre in contatto col cacciatore: da qui è nato il termine di «cerca ristretta caratteristica dei cani da ferma italiani, quando in verità non è che si tratti di limitato raggio d’azione del cane, ma del potente istinto di collegamento dal quale è costantemente dominato durante il suo lavoro.
Su terreno scoperto, dove l’occhio può spaziare, il bracco allarga volentieri, se non è trattenuto, la sua cerca quasi quanto la estende un cane inglese, mentre se dal pulito si passa al bosco, istintivamente, senza bisogno di comandi, lo vedete raccorciare le distanze. Ne consegue che il fischietto col nostro cane si usa poco, ed appunto lo Spiriti nel 1700 scriveva: «…e abbia ricevuto i suoi ordini per via di leggerissimi segni». Inoltre è stato dato al bracco italiano il nome di «cane generico perché caccia con facilità su tutti i terreni ogni specie di selvaggina.
Una cerca aviquerente
Il sistema di cerca denota grande intelligenza e dà l’impressione che il cane compi, in questo suo andare aviquerente, dei veri e propri ragionamenti. Lotta col vento, sfrutta le più impensate occasioni, si adegua alla natura sfrutta del terreno, mette opera la sua astuzia sorniona per il raggiungimento del fine.
La «cerca incrociata»!? Se indispensabile per una prova sul terreno a caccia può sembrare una buffonata. La cerca incrociata serve spesso a mascherare la scarsa sagacia di un cane, e sul terreno pratico della caccia molte volte è utile. Quando è necessaria il nostro cane la compie spontanea mente per quel tratto in cui è utile e poi, se è intelligente, tosto l’abbandona non appena arriva sul terreno in cui la cerca incrociata non è altro che perditempo; e tutto questo senza bisogno d’addestramento ma per istinto. Canis sagax, lo chiamavano appunto i latini, e la sagacia è una prerogativa del buon bracco al quale furono assegnati inoltre gli appellativi di: serio, mansueto, intelligente.
La Filata secondo Edmondo Amaldi
Se i cani inglesi nella presa della ferma sono stupendi, il bracco italiano non è meno bello ed interessante all’occhio di chi sappia intendersene e scruarne il comportamento, perché se nei cani inglesi si ha l’impressione di vedere muoversi una macchina perfetta al punto che, scattando, si ferma di colpo alla più tenue emanazione, nel nostro cane vediamo il lottatore che colla forza e l’intelligenza compie un lavoro progressivo ed aggrediente per individuare il selvatico.
E questa potenza sensoria che si fonde col raziocinio ci presenta di frequente dei quadri magnifici non di immediata cinetica, come succede nei galoppatori, ma di una bellezza plastica che può, in qual-che caso, essere estasiante.
Col selvatico che non pedona o che pedona po co, il bel trotto radente e disteso subisce una variante: gli arti, che prima erano lanciati a radere in lunghe folate le erbe, ora vengono trattenuti: il trotto cessa, il passo si accorcia, la velocità viene diminuita sempre più fin ché il bracco, dopo una «filata» che si va smorzando, rimane immobile in ferma. Dal trotto passa al passo allungato e questo passo viene dolcemente rallentato, accorciato sempre più: la massa corporea giunge cosi gradata mente all’immobilità.
Una progrediente sceverazione di effluvi
La «filata», come fase di preparazione all’atto culminante della cerca, è il preludio della ferma; è il rallentamento progressivo che il bracco italiano compie quando sente odore di selvatico. E un accertamento sulla realtà dell’emanazione che colpisce i suoi centri olfattivi, una progrediente sceverazione di effluvi che si conclude con la sicura presenza del selvatico. E questo istinto di filata che, come abbiamo detto, nel bracco non si disgiunge mai dalla ragione, gli dà modo di non fermare quasi mai a vuoto.
Non fermano a vuoto
Di bracchi ne ho visti tanti al lavoro, ma che fermano a vuoto per abitudine non ricordo di averne visti. Una delle cause di questa ottima qualità è appunto l’equilibrio psichico che normalmente accompagna il nostro cane: equilibrio psichico che si palesa appunto colla filata. Con essa sembra che questo meraviglioso equilibrio, fra istinto, senso e ragionamento, sfoci in un suggello di autoconvincimento.
Spesso i cani stranieri, in particolare quelli dotati di grande velocità, commettono l’errore di fermare a vuoto perché, da ta la velocità, sono portati a fermarsi bruscamente al primo sentore anche minimo d’emanazione nella tema di incappare nella selvaggina, in ciò assecondati dai loro riflessi nervosi ad altissimo potenziale di reattività, e non hanno cosi il divario di tempo necessario per un autocontrollo.
Rallenta l’antatura al minimo effluvio
Il bracco invece rallenta la sua andatura al minimo effluvio, lo segue nell’aria come se un filo invisibile ve lo tirasse per il naso e, solo quando l’effluvio è tal mente forte da non far dubitare che la selvaggina sia li appiattita sul terreno, si pone in ferma: diversamente abbandona al «volubil aere» quell’emanazione ingannatrice e riprende la sua andatura senza aver procurato delusioni e perditempo al cacciatore con una ingiustificata ferma.
Dal trotto al passo allungato
Se l’animale è un pedinatore o quando il vento a folate porta e toglie a tratti l’emanazione, allora vediamo il bracco passare dal trotto al passo allungato e, sempre a testa alta compiere dei zig-zag, spesso nervosi, in cerca della intesa e sicura emanazione: trovato il giusto filo, si calma e rallenta per arrestarsi in ferma. Se in questa affannata ricerca si è portato un po’ troppo a ridosso del selvatico, di colpo si inchioda compiendo un visibile movimento di molle sugli arti posteriori; questo molleggio è causato dall’arresto improvviso e dalla necessità di mantenere l’equilibrio del corpo, che trova cosi consistenza statica nel piede fortemente frenato sul terreno.
Il setter che evita il capitombolo
Il setter inglese, in simili riscontri si butta a terra oltre che per l’istinto naturale che ha d’accucciarsi in ferma, perché, avendo il piede tondeggiante, fermandosi sull’istante in piena andatura, farebbe una capriola dato che i piedi non potrebbero reggerlo, ed evita così questo capitombolo schiacciandosi a terra. Il bracco ha pur esso il piede tendente alla forma rotonda (oblungo), a differenza del pointer che l’ha a mo’ di «lepre», vale a dire lungo, ma non avendo velocità eccessiva e non avendogli dato la natura la particolarità di accucciarsi in ferma, e che non ne ha bisogno, nelle ferme improvvise piega più o meno leggermente gli arti posteriori e subito li di stende, cosicché si vede quel molleggio, quel sobbalzo improvviso e caratteristico.
Ciò avviene anche quando il soggetto appena lasciato, per l’esuberanza di sangue, si mette a galoppare e in quel mentre si trova a ridosso del selvatico. Spesso, in questi casi, rimane cogli arti un po’ piegati. Se un bracco galoppa, dimostra di avere ancora del buon sangue nelle vene quando, per l’emanazione passa subito al trotto per mettersi in filata e poi fermare: se ferma invece di scatto, all’inglese, significa che di sangue bracco ne ha ben poco.
La Ferma secondo Edmondo Amaldi
Una «ferma» lunga è sempre cosa piacevole a vedersi, anche se il cane in ferma è un bastardo; ma il vero cinofilo gusta maggiormente una ferma di pointer col naso rivolto al cielo, gli occhi fuori dalle orbite e la coda steccita anche se la quaglietta gli è solo da un palmo dai piedi.
Perché, comunque, si tratta sempre di una ferma in stile anche se la presa di è assai modesta. Il pointer può fare cosi; il nostro bracco no. Se il nostro bracco ha la solita quaglietta sotto i piedi, ferma col naso fra ne la testa alta vuol dire invece che la quaglia è lontana: più lontana di quanto si creda. Qui va considerata la conformazione della testa: l’anatomia va di pari passo colla fisiologia. La linea superiore della testa del bracco itali presenta una curva rivolta verso l’alto: le linee superiori cranio-facciali della testa sono divergenti fra loro. Queste due linee sono date dalla parallela tangente al cranio, che divergono superiormente dal salto frontonasale.
La divergenza
La divergenza di queste due linee si misura anche tracciando una linea immaginaria parallela alla canna nasale: se la linea immaginaria tracciata passa al di sopra della cresta occipitale significa che le linee divergono. Il bracco quan do è in posizione normale di riposo (piazzato) ha sempre il tartufo che guarda in basso, verso terra, non solo a causa delle linee cranio facciali divergenti ma anche perché la canna nasale il nostro cane l’ha montonina.
Giustamente, sempre Erasmo di Valvasone, parlando del bracco diceva che il naso dove essere «simo». Il pointer, al contrario, invece di avere il profilo della canna nasale con vesso, l’ha concavo verso l’alto, perciò questo cane, che ha il tartufo a bordo di piatto, in posizione di piazzato ha il naso che guarda verso l’alto. Nasce così la differenza, e cioè che il pointer ha facilità di fermare col tartufo al cielo mentre ciò non è consentito al bracco che, per alzare il naso al cielo, deve compiere un vero sforzo.
Il bracco ferma perciò col tartufo inclinato verso il basso per una ragione anatomica, ma nella ferma a distanza la posizioni della testa è alta e qualche volta il collo tende ad essere perpendicolare alle spalle: è incassato fra le spalle; il nostro ausiliare in ferma non fa per ciò quella figurona del pointer che manda in visibilio le platee dei fields, anche se la bontà dell’olfatto del bracco, veramente squisita, era raccomardata dal Bonfadini nel ‘700 quando scriveva: «il naso grosso e longo d’ odorato»; e posso assicurare che è, non dico raro, ma difficile trovare un bracco italiano debole di naso.
Articolo di Edmondo Amaldi Dalla rivista «Diana» nn., 3-7-24 del 1957 e nn. 3 e 6 del 1958
Grandissimo Edmondo! Non ricordavo questo articolo o forse non l’avevo mai visto: in esso è racchiusa l’essenza del lavoro del bracco, descritto in modo molto semplice, comprensibile a tutti. Spero lo leggano i neofiti e lo tengano ben presente nell’ utilizzare i loro ausiliari. Molte osservazioni sono attualissime e quando parla delle differenze tra bracco e spinone sembra quasi prevedere il futuro: “perché diversa è stata la selezione che gli allevatori delle due razze hanno effettuato fino ad ora.” E pensare che lo ha scritto oltre 60 anni fa!
Caro Edmondo quanto mi sei mancato in tutti questi anni di cinofilia.