Insieme al “Ranza”, il bracco piacentino ha rappresentato una parte fondamentale della storia del bracco italiano
Il bracco piacentino è da non confondere con il bracco Ranza, al quale era simile ma che possedeva anche caratteri tipicamente propri che, all’occhio dell’intenditore, difficilmente sfuggivano. Anzitutto la mole. Se il Ranza era un cane di statura relativamente modesta (60-62 centimetri) il bracco piacentino tipico possedeva un’altezza ben superiore.
Le caratteristiche del bracco piacentino
L’ing. Chiappini che li allevò per trent’anni così scrive in un suo studio: i maschi bracchi piacentini arrivano e superano qualche volta i settanta centimetri; però sempre snelli, asciutti e muscolosi, ben appiombati e proporzionati. Le labbra sono più ricche che non nel bracco Ranza; la scatola cranica non eccessivamente depressa ai parietali non dà molto risalto al apofisi occipitale. Così pure l’attacco dell’orecchio per quanto corretto, è un po’ largo».
La testa
La testa del bracco piacentino era insomma la tipica testa del bracco italiano con le leggere variazioni che il Chiappini ha segnalato, non pesante, piuttosto ossuta, con tratti marcati. Le orecchie non erano così lunghe né accartocciate come nei bracchi che oggi siamo soliti vedere. Il collo muscoloso, con scarsa giogaia, non troppo corto né troppo lungo, rivelava una grande distinzione e contribuiva a dare, a tali soggetti, un senso di eleganza che valeva a nascondere in gran parte la rusticità e le leggere disarmonie dello loro struttura.
Gli arti
Gli arti erano anch’essi asciutti, potenti, in appiombo perfetto; i piedi ottimi, raccolti, speronati i posteriori con suole durissime che consentivano a tali soggetti di adattarsi magnificamente a qualsiasi terreno sia in pianura che in montagna.
Il mantello
Il mantello era generalmente il solito del bracco italiano: bianco arancio o roano marrone. Quest’ultimo era preferito. Di bracchi piacentini se ne ricordano taluni anche a mantello unicolore marrone. Sempre tuttavia tanto il colore arancio quanto quello marrone tendevano a una tinta indefinita, scura per il primo chiara per il secondo, che gli appassionati indicavano con la parola formentino. La stessa tinta insomma di color tabacco o tonaca di frate che già abbiamo trovato nel bracco Ranza e nel bracco lombardo.
L’azione
Cani snelli, leggeri, se pur di mole notevole non è l’altezza infatti sinonimo di pesantezza – rapidi nei movimenti, con una struttura complessivamente raccolta, i bracchi piacentini, svolgevano un’azione di caccia veloce, sempre al trotto disteso, con la testa ben portata e fermavano il selvatico con grande espressione di cerca.
L’epoca d’oro del bracco piacentino
Nel periodo che intercorse tra il 1900 e il 1915 l’allevamento dei bracchi piacentini ebbe un notevole impulso. È l’epoca questa in cui Luigi Betti — nipote di Giovanni Ranza – presenta nelle esposizioni gli ultimi esemplari della razza famosa e si afferma a Milano (1901) con Hock e a Torino (1902) giudice Ferdinando Delor con Lampo.
Il marchese Ildefonso Stanga, appassionato di bracchi presenta nel 1901 Weiss a Milano con ottimi risultati, mentre il Senatore Camillo Tassi di Piacenza – Presidente dell’Associazione cacciatori italiani – si afferma con il suo Thiers nelle esposizioni del 1904
Dopo tale anno, dal 1905 in poi, le affermazioni dei bracchi piacentini, si susseguono con ritmo ininterrotto. Ravazzotti di Castel Giovanni porta il suo Cler al campionato (1905-1906) e l’avv. Toselli inizia la sua carriera di braccofilo presentando nell’Esposizione di Milano del 1906 Ras 5°°che si guadagna il primo posto in classe libera.
Il Canile Placentiae
A tali cinofili si affianca ben presto l’avv. Rombo con i suoi bracchi del canile Placentiae: Lorik (Vercelli 1908) e Placentiae Senna (Biella 1909) e Placentiae Bill.
Gli “immortali” bracchi italiani Del Trebbia
Subito dopo (1909) si costituisce a Piacenza il «Canile del Trebbia» per iniziativa dell’avv. Toselli, del conte Marazzani e dell’ing.Chiappini, attraverso i quali i bracchi piacentini conquistarono le affermazioni più clamorose non solo nelle Esposizioni ma anche nelle Prove.
I cani del Trebbia passarono infatti attraverso una ininterrotta serie di successi nei concorsi del tempo che, iniziatisi nel 1911 (Brughiera di Gallarate) con Mir di Trebbia culminarono nella più spettacolare vittoria conseguita nel 1914 ad Anzio ove, conduttore il “mago” Gianni Puttini, si conquistarono i primi posti con Dir e Milan Del Trebbia in quella difficile competizione. Il gruppo dei cani del Trebbia trionfò, in quel periodo, in tutte le esposizioni alle quali prese parte.
L’esposizione di Milano e Genova del 1912-1913
E non si trattava, occorre dirlo, di pochi soggetti. Nell’esposizione di Milano del 1912 il canile piacentino presentava infatti dieci esemplari: Mirr, Dir, Reno 2, Smith, Arda, Nella, Lola, Trebbia, Freda, Vespa, tutti Del Trebbia che si piazzarono al primo e secondo, terzo e quarto posto in classe libera maschi e al primo, secondo e terzo in classe libera femminile, aggiudicandosi altresì il primo premio in classe di coppia e in quella di gruppo.
Nello stesso anno a Genova gli stessi soggetti, ai quali vanno aggiunti Birr, Diana, Bella, Stop e Togn confermarono la precedente affermazione che si ripeté poi ancora nell’anno successivo e nella stessa città con Milan, Dor, Bloc, Diana Zuara, Trebbia, Bruna e Falco. Tra tutti questi cani però Dir e Milan furono i matador delle prove del tempo. Questa arida elencazione di nomi e di successi vale solamente per dimostrare come il bracco piacentino non fosse rappresentato solo una esigua pattuglia in mano di pochi appassionati, ma rappresentasse un patrimonio cospicuo di alta classe e veramente prezioso per ciò che da esso si sarebbe potuto ottenere.
Ai cinofili che frequentavano le mostre e le prove – e che abbiamo ricordato – vanno aggiunti inoltre tanti altri di Piacenza e di ogni parte d’Italia – tra i quali il rag. Beghi, il conte Anguissola ed altri di cui mi spiace di non ricordare i nomi i quali possedettero bracchi Piacentini famosi non solo sui rings e nei campi di prove, ma soprattutto in caccia e che lasciarono in chi li possedette e in chi li vide al lavoro un ricordo che ancora oggi non è tramontato.
E poi…arrivò il primo conflitto mondiale
La prima guerra mondiale inferse un colpo mortale agli allevamenti del bracco piacentino dal quale non si riebbero. L’ing. Chiappini cosi scrive al riguardo: «la guerra scoppiata nel 1915 con tutte le conseguenze tra cui il contingentamento dei viveri, e ne sparpagliò i soggetti in mano a persone che non erano allevatori, cosicché la razza decadde perdendole caratteristiche già fissate»
L’intervento di Giulio Colombo
Dopo la guerra Giulio Colombo, che possedeva allora il canile Olona, raccolse e acquistò, durante le sue scorribande venatorie sulle colline della Val Trebbia e del Val Tidone, alcuni tra i migliori soggetti superstiti della razza locale. Avendo come guida e interprete un cacciatore della tempra di Giussani, ben noto a tutti i tiratori d’Italia, che conosceva di nome non solo tutti branchi di starne che ruzzolava nella zona, ma anche tutti i cani migliori del Piacentino.
Egli riuscì ad introdurre nel proprio canile numerosi soggetti di questa razza che poi insieme agli altri vennero ceduti al Cav. Uff. Vittorio Necchi di Pavia, che intendeva istituire nella sua magnifica riserva «La Portalupa», un grande allevamento di Bracchi Italiani.
Una serie di circostanze contrarie e di epidemie micidiali mandò in seguito a monte tale iniziativa che, sorta con larghezza di mezzi e con serierà di propositi, avrebbe potuto dare un con tributo prezioso al miglioramento e alla valorizzazione del bracco in Italia, ma di questo ne parleremo in un’altro articolo…
Autore: Paolo Ciceri
Fonte: Il bracco italiano – Edizione S.T.S. Italiana ottobre 1979