Alcuni scrittori che nell’intricata storia del Bracco Italiano hanno più volte perso la strada, come succede a certi cacciatori di macchia che non hanno spiccato il senso dell’orientamento, hanno confuso i fatti ed hanno asserito in piena buona fede che il secolo d’oro del primo cane da ferma, cioè il Bracco, fu il 1800. Ci rincresce dover rettificare questa assurdità. Il secolo XIX fu purtroppo l’inizio della decadenza del prestigio del Bracco Italiano, ho detto del prestigio, non delle qualità, e diminuendo il prestigio, diminuisce anche l’allevamento e il piazzamento dei soggetti nel campo nazionale ed internazionale.
Il secolo d’oro del Bracco Italiano
Si può asserire con tutta sicurezza che il secolo d’oro del Bracco Italiano fu il 1700, epoca in cui i nostri cani italici valicavano trionfanti i confini della patria per affermarsi, come nei secoli precedenti, in Francia, in Inghilterra (per formare il capolavoro Pointer), in Germania (per formare il concorrente Kurzhaar), in Austria per dilettare gli azzimati cacciatori dalle parrucche prolisse della corte di Vienna.
Sappiamo infatti che nell’anno 1769 il Duca di Parma inviò un bel gruppo di Bracchi Italiani alla capitale austriaca, mentre ricusò, con false scuse, di mandarne al Duca di Modena che insistentemente gliene faceva calorosa richiesta.
Cosa ci insegna la storia del Kurzhaar
Nella storia del Kurzhaar, tracciata brevemente da Innocente Toppani in un articolo di “Rassegna Cinofila” (anno 1948, n. 20), così si legge: “Il bracco tedesco discende dal bracco spagnolo introdotto in Germania nella seconda metà del XVII secolo dalla Spagna attraverso le Fiandre, per lo più nel tipo pesante di Navarra e, dalla Francia, nel tipo più elegante franco italiano“.
Secondo questa asserzione il bracco tedesco discende dal bracco spagnolo venuto direttamente dalla Spagna, attraverso le Fiandre; e venuto, esso bracco spagnolo, dalla Francia, “nel tipo più elegante franco italiano“. Dunque, questo bracco spagnolo “più elegante” era un bracco spagnolo francese italiano? Era un bastardo? Non credo che i tedeschi scegliessero un bastardo a capostipite del loro allevamento.
Diciamo la verità senza orpelli e capziosità speciosissime: il Bracco Italiano del nostro Rinascimento, come è documentato con lettere chiarissime come la luce del sole, senza sospetto di mistificazione, era un cane eccellente che faceva catturare molti francolini con le mani e col bastone, era un cane molto richiesto in Francia dai Re che prima avevano bandito con pena di morte i cani da ferma, era un cane che destava la più alta e giustificata ammirazione per le sue reali doti di fermatore; e come mai poteva in seguito entrare in Germania come fanalino di coda, in un’etichetta così mal combinata di “bracco spagnolo franco italiano?”.
Una questione “semplicemente vergognosa”
Qui non c’è forse un po’ di quel tale agnosticismo che farà dire un giorno ad una certa gente che l’Italia è “una espressione puramente geografica”? Per forza! Noi eravamo cento anni fa ancora divisi in sette stati più o meno sotto il piede dell’Austria, e come potevano i tedeschi creare una razza valorosa che portasse sull’etichetta come primo ingrediente il sangue di una razza italiana? Era semplicemente vergognoso. Meglio mettere per primo quello della Spagna dei re cristianissimi, poi quello della Francia dei re radiosissimi (saltando s’intende gli imperatori sulle terre dei quali il sole non tramontava mai) e, infine, poiché Roma negletta era stata un tempo “carput mundi”, si poteva anche aggiungere il sangue del Bracco Italiano.
Sembrano sciocchezze; ma hanno il loro peso. E come! Soltanto gli Italiani, abituati per secoli alla schiavitù, sono propensi per atavismo a vedere il meglio fuori della loro patria. E questo non lo dico per retorica, ma purtroppo per l’esperienza di ogni giorno: un’esperienza che si estende solarmente (chiara come luce solare) nel campo cinofilo e in quello in genere del prodotto di moda, del genere voluttuario, dove lo snobismo tocca le vette più elevate.
Il genio italico
Comunque nel 1700, benché l’Italia non possa vantarsi unita e forte politicamente come le altre grandi nazioni d’Europa, ha creato con l’ingegno della sua stirpe il più perfetto cane da ferma che viene largamente esportato e richiesto come lo testimoniano in modo inequivocabile molte lettere del tempo. Eccone subito qui una: “Malgrado ogni offerta di buon danaro, non mi è stato possibile acquistare i Bracchi che V. S. desiderava; qui (a Verona) ve ne sono parecchi, ma non li vendono e le femmine specialmente, a nessun prezzo; se ne trovano molti ba- stardi, ma quei puri, essendo in mano di tre o quattro signori, non si hanno; però il Santucci, sensale dei cavalli comprati, mi dice che è in buona relazione con la nobil casa degli Albertini, e proverà di conten-tarla“.
Tale lettera, che porta la data del 1721, fu scritta dal fattore Giovanni Procidi, alle dipendenze dei Conti della Gherardesca di Firenze, i quali lo avevano incaricato di procurar loro dei buoni Bracchi Italiani. Questo scritto dimostra pure chiaramente come, in tale periodo, si distinguevano i Bracchi Italiani seleziorati in purezza (in mano ai grandi signori che l custodivano gelosamente) e i bastardi che circolavano liberamente in mano ai cacciatori di ceto inferiore.
I bracchi italiani? Erano già perfetti
E che il Bracco Italiano puro, fosse già un cane educato alla perfezione per dare le massime soddisfazioni che oggidì pretendiamo solo dal Trialler nei campi di prova, lo testimonia una noterella del Marchese Spiriti, scritta nel 1741 a commento di una ristampa del libro di Fracastoro, “L’Alcon sive de cura canum venaticorum». La scoperta fu fatta da Arturo Fancelli che ne rimase meravigliatissimo. Ecco il testo: “Il cane da ferma generalmente pratico è un Bracco da terreno, lungo, nato fatto dalla natura per puntare detti uccelli starne, quaglie, pernici, assai più che qualunque altro uccello selvatico. Questo (bracco) nella sua più impetuosa carriera, udrà la voce del suo padrone, fermarassi in tronco, rivolgerassi indietro e starassi immobile fino a tanto che abbiane veduto il volto di auello, e re abbia ricevuto i suoi ordini per via di leggerissimi segni (altro che il fischietto da vaporiera di certi conduttori!) ed allorchè egli si trova così vicino alla sua preda, che l’ha quasi in bocca, starassi immobile a riguardarla (dopo la guidata) ed acquattato sopra alla sua pancia sino a tanto che giunga il suo padrone e da esso riceva le sue direzioni». Ecco il famosissimo down, il terra scoperto dagli inglesi e che due secoli prima si usava già in Italia con tanta perfezione!
Io invito i miei (ahimè pochissimi lettori) a rileggere questa nota perché siano persuasi della perfezione a cui era giunto l’addestramento del Bracco Italiano nel 1700! In quel tempo in Europa non si parlava nè di Pointers, nè di Setters, nè tanto meno di prove sul terreno e di addestratori professionisti. Questi veramente esistevano, ma non lavoravano in proprio coi cani altrui: vivevano nella famiglia del signore per eccellenza, che pretendeva le cose “perfette”, niente fischi quando il cane era sull’emanazione buona, ma “segni leggerissimi”.
Personalmente, non mi stanco mai di rileggere que- sta nota del benemerito della SABI Marchese Spiriti, personaggio a parrucca ed analitico osservatore del lavoro del Bracco Italiano da Coppa Europa del 1700.
Se oggi avessimo quei bracchi
Ah Giulio Colombo! Se oggi avessimo quei bracchi (invece che setters e pointers) che nella “loro più impetuosa carriera” (nota ben più impetuosa tu che quando giudichi i bracchi allarghi volentieri la manica, mentre altri giudici la stringono fortemente, quando un bracco si dimostra appena appena esuberante) udranno la voce del loro conduttore e fermeransi in tronco… come saremmo preparati bene ad affrontare, con sicurezza di non andare fuori mano, le vaste pianure di Francia in competizione con le squadre straniere! Tu, commissario per la Coppa Europa, ti lamenti sempre che i nostri Triallers si perdono facilmente nei vasti orizzonti dei campi esteri, ma i nostri Bracchi del 1700, una volta fermati in tronco, si rivolgerebbero indietro e starebbero immobili fino a che vedrebbero la splendente fronte di Vischioni, il quale non avrebbe neppure bisogno di spendere soldi per il fischietto, ma gli basterebbe fare con le dita segni leggerissimi e quei meravigliosi Bracchi capirebbero a volo le sue intenzioni, ed una volta giunti col loro potentissimo olfatto contro il muro dell’emanazione, starebbero immobili ed acquattati sopra la loro pancia sino a tanto che giunga il detto Vischioni e da esso ricevano le sue direzioni. Come saresti più tranquillo tu, alla vigilia dell’annuale competizione che ti fa ingozzare, sovente, tanti bocconi amari. E che meraviglia sarebbe per i giudici stranieri veder correre la “grande cerca” da quei cinque bracchi del 1700 con tale “impetuosa carriera”!
Forse direbbero che gli Inglesi con in mano un sangue simile hanno durato poca fatica a fabbricare il Pointer: forse hanno conservato il Bracco Italiano com’era allora, allegge- rendolo quel poco che bastasse a renderlo inglese nella linea e lasciandogli crescere la coda perché tanto contro i rovi in Inghilterra non se la sarebbe mai spellata.
Mi piacerebbe sentire il parere di certi esterofili
Mi piacerebbe sentire il parere di certi esterofili che credono al verbo inglese od alemanno come all’unica fonte di verità e di grandezza. Si convincano che in casa nostra ci fu tale passato di grandezza, di intelligenza, di passione e di competenza, anche per il cane da ferma, da non dovere certamente gli Italiani vergognarsi delle proprie razze per rivolgersi a quelle altrui! Che riflettano una volta tanto che cosa è il down oggi e cos’era due secoli fa in Italia: con quale perfezione lo si esigeva e lo si sapeva ottenere! Che riflettano certi scrittori, che credono di saperla molto lunga e dicono con sicurezza che il Bracco Italiano per atavismo non deve possedere un’azione “impetuosa” e neppure troppo esuberante, perchè altrimenti è un incrocio! E non s’accorgono di commettere l’errore più madornale, perché confondono il bracco della decadenza con il bracco dell’epoca aurea. Cioè, secondo loro, il Bracco Italiano perfetto fu quello adoperato dal loro nonno nell’Ottocento; invece no! poi no! Quello era già il bracco degenerato.
Il vero bracco italiano
Il Vero Bracco Italiano a cui noi dobbiamo guardare come al prototipo della razza, perché in tale tempo raggiunse la sua perfezione e come razza e come educazione è il Bracco Italiano del 1700! Era un bracco veloce, intelligente, docile, potente: questo dev’essere il Bracco Italiano di ogni epoca e anche della nostra se vuole somigliare a quei campioni tanto ricercati in Italia ed all’estero, e tanto malvolentieri ceduti.
Hanno scritto in mille modi che furono cani veloci, tanto da fare pensare che il Pointer non fosse altro che un Bracco alleggerito. L’autore Biondo, veneziano, scrisse pure che i migliori di essi avevano il muso che puntava in su. Oggi, i loro discendenti finalmente risanati, tornano a galoppare irrefrenabili, lo si può vedere in ogni prova. Ma i braccofili sono tenaci e negano l’evidenza: il Bracco deve trottare. Saremo sempre in quinta posizione. Ammesso che ci sia un ‘sempre’ decente per la caccia nel nostro Paese.