Le diverse manifestazioni della passione nel cane da ferma in relazione all’istinto predatorio. Cani a cerca ampia, cani a cerca ristretta e loro origini storiche
Gli etologi lo chiamano “istinto predatorio” ed è un nome che mi suona male perché, per un carnivoro, il motivo della predazione è il nutrimento; e invece i nostri cani cercano la selvaggina non per mangiarsela, anzi ce la riportano intatta, senza sciuparne una piuma. Infatti noi la chiamiamo semplicemente “passione”, e di quella proprio si tratta perché se i nostri cani ci vedono preparare le cartucce la sera, non dormono tutta notte, tal quale succedeva a noi da ragazzi prima dell’apertura.
Altrettanto strano trovo chiamare istinto predatorio l’attrazione per la pallina che adoperano nell’addestramento dell’agility, attrazione che mi parrebbe più logico assimilare ad una manifestazione di neotenia, dal momento che la pallina è pur sempre un gioco!
Però è solo una questione di parole ed un nome vale l’altro. Dunque, istinto predatorio, che però si manifesta in maniere molto diverse, da razza a razza e da soggetto a soggetto. In verità si tratta di materia complessa, con risvolti a volte addirittura contraddittori, per chiarire la quale ho sentito il bisogno di dare ordine alle mie esperienze ed ai miei pensieri. Appunto da questo mio sforzo sono nate alcune conclusioni che cercherò di illustrare, senza però vestire i panni dell’etologo e tanto meno contrabbandare per risultati scientifici osservazioni fatte a mio esclusivo uso e consumo.
C’è chi spazia e chi ha sete di odori…
Ci son cani da ferma che fin da cuccioloni, alle prime uscite, dimostrano una gran voglia di spaziare, che corrono disordinatamente su tutto il terreno disponibile, come per soddisfare un bisogno che hanno dentro. Fra i Bracchi italiani casi del genere non sono molto frequenti, ma ci sono. Invece fra i Pointer sono quasi la norma.
Cosa spinge quei cuccioloni di Pointer che non hanno mai visto un capo di selvaggina ad andare come forsennati? Non è solo l’esuberanza e la voglia di correre perché, se così fosse, dopo uno sfogo iniziale, smetterebbero. E loro invece continuano per ore! L’unica risposta plausibile è che quello è il modo con cui si manifesta la loro passione, cioè il loro istinto predatorio.
Ben diverso è invece il comportamento di altri cuccioloni in cui è palese l’impegno a decifrare olfattivamente la realtà che li circonda. Per loro la cerca è il modo di creare occasioni con cui soddisfare la loro “sete di odori”. Questi cuccioloni – inizialmente poco propensi ad una cerca spaziosa – gradualmente ampliano il raggio della loro azione, che comunque non copre mai tanto terreno come nei cuccioloni del primo caso ed è palese che vanno perché sono “tirati dal naso”. Anche questa è passione, anche questo è istinto predatorio ed è il comportamento più frequente nel giovane Bracco italiano.
Due manifestazioni differenti dell’istinto predatorio
Ma se è evidente che quest’ultima manifestazione dell’istinto predatorio è strettamente connessa all’olfatto, da quale senso è alimentato l’istinto predatorio che ho descritto in precedenza? Certamente non è in funzione dell’udito, né del gusto o del tatto.
L’unica ipotesi plausibile è la vista. In altre parole, i due comportamenti che ho descritto nei cani da ferma riflettono due diverse manifestazioni dell’istinto predatorio, e cioè:
- istinto predatorio olfattivo
- istinto predatorio visivo
A questo punto posso ben immaginare le proteste dei cultori dei Pointer all’idea che la cerca dei loro magnifici cani sia l’espressione di istinto predatorio visivo, perché la definizione potrebbe far pensare ai cani “che vanno con gli occhi”, quelli cioè che mentre corrono cercano di vedere la selvaggina e che non usano il naso. Si tranquillizzino i pointermen: il mio discorso è tutt’altro!
Il cane animato da istinto predatorio visivo usa il naso magnificamente. La differenza è che:
- nell’istinto predatorio olfattivo, l’olfatto determina la cerca;
- nell’istinto predatorio visivo, l’olfatto è al servizio della cerca
Si verifica cioè che: il cucciolone di Pointer prima asseconda l’impulso di correre, e poi impara ad usare il naso. Il cucciolone di Bracco italiano, invece, prima impara ad usare il naso, e poi impara a spaziare la cerca. Resta però il fatto che quel “visivo” per un cane da ferma suona molto male e di ciò chiedo scusa; ma è solo una questione lessicale.
Fattore IPO e Fettore IPV
Per mitigare questo disagio – ed allo stesso tempo per favorire un’espressione più sintetica – ho quindi trasformato le mie definizioni in sigle e cioè: all’istinto predatorio olfattivo ho dato il nome di “fattore IPO”; all’istinto predatorio visivo ho dato il nome di “fattore IPV”. Spero con ciò di aver chiarito il significato dei termini che uso e di aver sgombrato il campo da possibili malintesi.
Nei cani da ferma il fattore IPO ed il fattore IPV non sono espressioni alternative, ma parallele, che debbono essere entrambi presenti nel medesimo cane, con prevalenza variabile a seconda delle razze e dei singoli soggetti. Volendo generalizzare una scala di valori di tale variabilità, direi che: I Pointer sono i cani in cui il fattore IPV ha la sua massima espressione, con la conseguente spiccata propensione ad assecondare la voglia di correre in tutto lo spazio disponibile. La funzione olfattiva è comunque contemporaneamente attiva, sostenuta dagli eccellenti riflessi di cui la razza è dotata, così da determinare al momento opportuno la reazione della ferma che, coerentemente, sarà di scatto.
All’estremo opposto di questa scala di valori c’è il Bracco italiano, in cui prevale il fattore IPO, evidenziato dalla tipica espressione di cerca, la cerca del cane che “va dove lo porta il naso”. Le altre razze da ferma si collocano in posizioni intermedie fra questi due estremi.
Tempo fa un noto dresseur di Inglesi mi confermava che anche nel Setter il fattore IPO è in equilibrio – se non addirittura prevalente – rispetto al fattore IPV e sosteneva che i più tipici rappresentanti della razza sono quelli che da cuccioloni allargano la cerca man mano che imparano ad usare il naso. Ed infatti l’espressione di cerca del Setter è ben diversa da quella del Pointer.
Kurzhaar, Breton ed altri Continentali esteri hanno cerca tipica solo se in loro è evidente la prevalenza del fattore IPO sul fattore IPV.
Il cane che che corre e non ferma e il “cercottone”
La prevalenza dell’una o dell’altra manifestazione dell’istinto predatorio determina, infatti, la tipicità della cerca, a cui però entrambi le manifestazioni contribuiscono. Se il fattore IPO è del tutto assente si ha un cane che corre ma non ferma; se manca il fattore IPV, il cane è un “cercottone”, cioè un cane impegnato ma che non spazia.
Ed ancora, un Bracco italiano in cui il fattore IPV è carente non farà mai la cerca grande, non sarà mai uno starnista o un beccaccinista. L’esperienza in terreni ideali e su selvaggina giusta, la maturazione dovuta all’età, a volte il caso fortuito, sono tutti elementi che determinano l’instaurazione di un giusto rapporto fra il fattore IPO ed il fattore IPV. Purtroppo però questo equilibrio non è sempre raggiungibile o, quantomeno, può richiedere una particolare sensibilità ed abilità del preparatore. Nel cane ideale, invece, vien fuori da solo!
La diffusione della selezione basata sulle prove di lavoro ha certamente influito ad accrescere il numero di soggetti – anche di razze Continentali – in cui prevale il fattore IPV col risultato di produrre cani con prestazioni molto appariscenti in termini di andatura, ma poco fermatori a causa dello scarso impegno olfattivo. Vengono così valorizzati riproduttori capaci di sporadiche prestazioni eccezionali ma con un basso tasso di positività: come dire che tre ferme e trenta sfrulli producono un famoso Campione, poi ampiamente utilizzato in riproduzione.In questi casi però la sensibilità di chi giudica non può focalizzarsi solo sull’andatura, ma deve valutare innanzitutto l’espressione di cerca che denota inequivocabilmente la presenza nel cane del giusto equilibrio fra fattore IPV e fattore IPO.
Per quale motivo il Bracco italiano è la razza in cui la prevalenza del fattore IPO è più marcata?
Per molto tempo mi sono chiesto il perché di questo stato di cose, cioè per quale motivo il Bracco italiano è la razza in cui la prevalenza del fattore IPO è più marcata. La risposta mi è venuta indirettamente anni fa, leggendo un’interessante riflessione contenuta nel libro scritto sui Bracchi italiani da G.B. Benasso, secondo cui la cerca ristretta che ha tradizionalmente caratterizzato questa razza è la diretta eredità dell’originario utilizzo come cani da rete (vedi storia antica del bracco italiano), per i quali quel modo di cercare era rigorosamente funzionale. Trovo l’ipotesi di Benasso senz’altro plausibile ed è ovvio che gli unici cani da rete originariamente esistenti – cioè i bracchi a pelo raso ed a pelo ruvido – fossero tutti soggetti fortemente dotati di fattore IPO.
Bracchi italiani e Spinoni, quindi, in quanto discendenti diretti dei cani da rete, mantengono la più forte predominanza del fattore IPO. Solo dopo molti secoli i cacciatori sentirono il bisogno di avere fermatori la cui cerca fosse adeguata alla caccia con le armi moderne, ed allora (secondo Arkwright) trasformarono i bracchi continentali con l’immissione di sangue di altre razze non da ferma, selezionando cani la cui cerca fosse decisamente più estesa, ovvero stimolata non solo dal fattore IPO ma anche dal fattore IPV. Il magnifico risultato fu la creazione di un capolavoro, cioè del Pointer!
Questa è, secondo me, la spiegazione storica del perché Bracco italiano e Pointer rappresentano le due espressioni estremizzate della prevalenza rispettivamente del fattore IPO e del fattore IPV. Un’ultima annotazione sull’istinto predatorio: ho osservato che la carenza del fattore IPV è un carattere recessivo; quindi da due cani che non spaziano nascono sempre e soltanto dei “cercottoni”; invece da due cani che hanno grande presa di terreno può nascere di tutto, perché la forte presenza del fattore IPV è geneticamente dominante. Il cane che quindi esprime quel gene, può essere eterozigote e, pertanto, non necessariamente riproduce se stesso.
Non è mai tardi per gioire apprendendo qualcosa di appagante, oltre che significativo. Concordo su ogni concetto espresso nell’articolo, con qualche riserva sull’affermazione, poi convertita in caposaldo di ulteriori passaggi di analisi, secondo la quale il Bracco Italiano, generalizzando, avrebbe cerca ristretta, che amplierebbe man mano che l’esperienza gli faccia raggiungere un miglior equilibrio del rapporto IPV/IPO. Ciò non corrisponde alla mia esperienza, che però è limitata a 4-6 soggetti. L’autore rappresenta un riconosciuto (anche dal sottoscritto) pilastro della braccofilia italiana, ed ha presumibilmente seguito l’evoluzione di decine di cuccioli bracchi. Non c’è confronto.