La valorizzazione della bellezza del Bracco italiano in senso estetico oltre che zootecnico ha coinciso con le conquiste dei Best in Show. L’importanza del trotto anche sul ring d’onore
Vacanze da cani come sempre per me, nel senso che se non ne porto qualcuno non mi diverto.
Così vado a zonzo per infiniti chilometri stimolando ammirati commenti su un paio di Bracchi italiani al guinzaglio, che l’odierno linguaggio stereotipato definisce “Trrooppo belli, trrooppo teneri”. Ci sono poi le domande di quelli che pretendono d’essere esperti cinofili: “Scusi, come mai hanno le gambe così lunghe?. Quello del mio amico è uguale ai suoi ma è molto più basso, è alto neanche la metà di questi!”.
Le varianti sul tema sono innumerevoli.
Del resto cosa si può pretendere?La popolazione dei Bracchi italiani è stimabile a circa lo 0.07% dei cani italiani, cioè meno di un Bracco italiano ogni 1.000 cani presenti sul territorio. Nessuno stupore quindi se qualcuno – incontrando un Bracco italiano per via – lo vede per la prima volta in vita sua.
Il Bracco italiano, già poco diffuso a casa nostra, all’estero è “razza rara”(*) che come tale, oltre ad ammirazione, suscita plausibile curiosità.
(*) Intendo “razza rara” in senso tecnico, cioè una razza che non raggiunge un determinato numero minimo di iscrizioni e che quindi è soggetta a particolari trattamenti restrittivi nelle manifestazioni zootecniche. In senso letterale invece la razza è purtroppo rara anche in Italia.
In un albergo francese, una gentile signora, compiaciuta dall’aspetto e dal buon comportamento dei miei cani, disse: “Ils sont sages comme des images” (un’espressione idiomatica che significa buoni come dei santini) e fu il più toccante dei complimenti. Ovunque del Bracco italiano colpisce la spiccata caratterizzazione che lo rende così diverso dagli altri cani. Perché ci sono razze rare che, se non te ne intendi, puoi scambiare per meticci; ma il sangue blu del Bracco italiano si vede da lontano: vuoi mettere il confronto fra il nostro bracco nobile ed un Canan dog, o un Cesky Fujeck o un Kelpie?. Insomma, il Bracco italiano può incuriosire perché è raro, ma è ammirato perché è bello!
E non intendo “bello” in senso morfologico di rispondenza allo standard, ma bello in senso estetico. Io stesso me ne innamorai a prima vista quando alla fine degli anni ‘50 un amico mi mostrò il suo Ciro di Silvabella. Mi regalò un diritto di monta, ma quando andai a ritirare il cucciolo, comprai anche la madre.
Fra i cinotecnici la diffusa accettazione della bellezza in senso estetico del Bracco italiano è però relativamente recente e per assurdo è avvenuta prima all’estero che da noi (forse proprio perché in altri Paesi, all’intrinseca bellezza si aggiunge il fascino esotico della razza sconosciuta). Già negli anni ‘80 mi riferivano di Bracchi italiani vincitori del Best in Show nel Nord d’Europa, mentre in Italia – a conferma che nessuno è profeta in patria – fino ad un passato relativamente recente la massima gloria nel ring d’onore di un’esposizione internazionale era toccata negli anni sessanta solo ad un Bracco italiano, Duck del Trebbia, quando l’internazionale di Milano si faceva ancora nei giardini del parco Reale di Monza.
A rompere definitivamente il ghiaccio fu Giacherebbe dell’Angelo del Summano, di Isabella Maeder. In esposizione l’avevo visto alla speciale di Lodi nel 1999, battuto da Maestrale delle Cascate, vincitore lui del BIS in quell’occasione. Poi nel Raduno del cinquantenario a Casteggio, con duecento Bracchi italiani in campo, confermò di essere un bel cane classificandosi Eccellente fra i primi cinque. Né deve essere inteso come riduttivo il fatto che in un raduno altri Bracchi gli siano stati anteposti, perché il giudice specialista ha una visione diversa dall’all rounder che sceglie il Best in show.
Nel 2000 all’internazionale di Milano venne portato al migliore di razza da Balducci, vinse il Raggruppamento con Perricone ed infine fu proclamato BIS da Hans Muller, il quale non chiedeva di meglio che assegnare la massima gloria dell’Expo milanese ad una razza italianissima. Ed il pubblico ne fu entusiasta soprattutto perché sul ring d’onore Giacherebbe trottava con uno slancio ed un’eleganza che solo il Bracco italiano sa esternare. Tullio Bottani, che lo presentava, faceva fatica a correr forte come lui. Pochi mesi dopo Perricone confermava la sua giustificata predilezione per Giacherebbe, mettendolo sul più alto gradino del ring d’onore alla Mondiale di Milano. Poi venne il turno di Rivana del Monte Alago che conquistò in molte occasioni il Best in Show, in Italia e all’estero.
E non vado oltre nelle citazioni perché conoscete la storia recente meglio di me. Sia chiaro che non ho mai attribuito importanza al Best in Show, proprio perché in senso zootecnico il confronto può essere fatto unicamente rispetto al relativo standard di razza. È però innegabile che esiste un concetto di bellezza puramente estetica che trova nel Best in Show la sua più palese applicazione. E oltre alla “bellezza estetica” vi è anche un concetto di bellezza basato sull’esasperazione di talune caratteristiche che conferiscono un fascino particolare alla razza, a volte il fascino grottesco dell’esagerazione: son talmente brutti …che diventan belli! Ed è il caso di alcune razze molossoidi come il Bulldog, dei bassotti, degli Sharpei, l’ammirazione per i quali è innescata dall’esasperata diversità. Probabilmente in un lontano passato anche il Bracco italiano, così grosso e pellaccioso, con la palpebra rilassata e le zampe enormi, attirava – oltre che per la sua intrinseca bellezza – anche per le sue esagerazioni.
Poi venne il Bracco moderno, che seppe mantenere il fascino della nobiltà antica su di un sano impianto atletico, senza più eccessi di salivazione, senza più pelle di troppo, senza più dermatiti, senza più eccessi di mole.
I risultati non si son fatti attendere e finalmente anche i cinotecnici si sono accorti di quanto è bella in assoluto questa antichissima razza nostrana!.
Ovviamente sul ring d’onore conta molto anche la qualità del trotto, che non ha eguali. Si tratta di un trotto veloce e possente, lungo e con una marcata fase di sospensione fra una battuta e l’altra, atletico e morbido allo stesso tempo, che però difficilmente si evidenzia allorché i cani sul ring d’onore sono invitati a trottare in cerchio tutti assieme. L’entusiasmante trotto del Bracco italiano deve venir valorizzato nel movimento “a solo”, con un guinzaglio lasciato molto lungo che consenta di simulare l’azione in libertà e correndo a tutta birra, (una presentazione per la quale il Bracco da ring necessita di opportuna preparazione). Il cane deve cioè trottare sul ring così come trotta allorché lavora, capitalizzando in tal modo un vantaggio di cui lui solo beneficia rispetto a tutte le altre razze presenti in Esposizione.
Ma tutti i Bracchi italiani trottano così?
Fosse vero!
Il trotto che fa scrosciare gli applausi sul ring d’onore è il trotto trasmesso dai grandi Bracchi italiani da lavoro – e non a caso il già citato Giacherebbe era Campione di lavoro prima di divenire un “divo” del ring. Sta di fatto che in Italia i Bracchi italiani più belli si vedono in classe lavoro perché la selezione dei riproduttori è stata effettuata scegliendo “i più belli fra i più bravi”. Ed è un’invidiabile situazione che ben poche razze da lavoro possono vantare (anzi, oltre al nostro bracco, forse nessuna!). I braccofili d’oggi siano perciò consapevoli della preziosa eredità giunta loro e la custodiscano gelosamente perché se mai dovessero perdere le doti di lavoro, nel breve volgere di qualche lustro la razza verrebbe affidata alla mutevole moda che oggi vuole l’Husky con gli occhi azzurri, domani il Weimaraner grigio tortora e dopodomani il dalmata per via di un film di Walt Disney. Quindi Bracco italiano bello e bravo – cioè bello perché bravo. Eppure così poco diffuso.
Una volta è venuto a farmi visita un giovane belga, appassionato di Bracchi italiani, ansioso di accompagnarmi negli allenamenti dei miei cani e di vivere da vicino la razza che lo appassiona.
“In Belgio – mi disse il giovane amico – è ovvio che i Bracchi italiani siano rari. Ma qui, in Italia, come mai non c’è un Bracco italiano nel cortile di ogni cacciatore?” Cosa gli avreste risposto voi? Che gli italiani sono esterofili? Che anche nel calcio, andiamo a prendere giocatori da tutto il mondo, anziché dedicarci a creare e valorizzare quelli italiani?.
Io son rimasto in silenzio.
E quando lui mi ha chiesto perché allora mi dedico a questa razza gli ho risposto: “Perché nello sguardo del Bracco italiano c’è tutta la saggezza che noi abbiamo perduto”.
Che dire?
Cesare Bonasegale è un Grande Allevatore e, per nostra fortuna, uno scrittore sopraffino.
Ogni concetto, espresso da lui, è di una chiarezza unica e facilmente assimilabile da chiunque legga.
Il mio sogno sarebbe stato un bracco “del Boscaccio”, ma mi sono appassionato alla razza quando, purtroppo, aveva già smesso di allevare.